Confraternita del SS. Crocifisso e Anime Sante del Purgatorio

Nel  1632 i fratelli Orazio e Felice Sansone stabilivano di fondare una cappella sotto il titolo del SS. Crocefisso,  nella strada della Caperrina, dotandola di una rendita annua di 37 ducati provenienti da un capitale investito in alcune gabelle della città, e con l’obbligo per il cappellano di celebrare quattro messe alla settimana, di cui quella del venerdì  dedicata appunto alle anime del Purgatorio.
La cappella, per varie successioni, pervenne a Domenico Casabona di Amalfi, a Carlo Troise di Chieti e a Lucia Barbarese Trabucco di Napoli, che, nel 1792, ne fecero dono agli stabiesi Francesco Paolo Ferraro, Giovanni  Viesti, Francesco Rescigno e Gaetano Cacace, con l’obbligo di formarvi una nuova Confraternita sotto il titolo del Santissimo Crocefisso e delle Anime Sante del Purgatorio. Il 21 agosto  1793, alla presenza del vescovo, di alcuni membri della Curia, e degli stabiesi Ottavio d’Apozzo, Domenico Bonadia, Carlo Somma e del rev. Avagnale, la confraternita prendeva possesso della piccola chiesa.
Cresciuto il numero dei fedeli, gli amministratori della congrega, Geremia Giordano, Salvatore Marulli e Giovanni Viesti, decisero, nel 1794 di acquisire dalla reale Azienda di Educazione, per un canone annuale di ducati 70 e con il patto di ricompera, un piccolo fabbricato composto di alcuni locali siti al piano terra e al primo piano, contiguo all’abolito collegio dei Gesuiti, ove costruire una nuova chiesa, con un oratorio e la relativa Terrasanta.  L’approvazione fu concessa con R. Dispaccio del 21 marzo, mentre il permesso per la costruzione fu concesso il 10 settembre del 1794.
Il progetto venne affidato ad Antonio Cioffi, uno dei più valenti architetti di quel periodo, a cui il Re aveva dato l’incarico, nel 1791, di studiare, e anche disegnare, l’incanalamento di tutte le sorgenti che, dall’arco montano dei  Lattari giungevano fino a Castellammare.
Le fondamenta del nuovo tempio furono benedette con una grande cerimonia pubblica dal vescovo Crispo Doria la mattina dell’8 gennaio 1795. I lavori, portati avanti in regime di economia, provocarono, purtroppo, una serie di inconvenienti, tale che si venne alla conclusione di affidarli a due noti costruttori locali, Michele e Catello Parisi, dai quali se ne pretese tuttavia il completamento entro il luglio del 1797. La costruzione,che terminò nell’agosto dell’anno successivo, fu benedetta dal Vescovo il 22 di quello stesso mese. Nel 1813 i confratelli riuscirono finalmente anche ad estinguere il debito contratto circa un ventennio anni prima, erogando una somma di L. 12320. La consacrazione avvenne nel mese di ottobre del 1840 ad opera del Vescovo Angelo Maria Scanzano.
Abbellita nel 1850 con stucchi e marmi , dotata anche di un organo, la chiesa si presenta a croce greca con soffitto a cupola. Il porticato esterno è in stile toscano, recante quattro colonne. Si accede al tempio tramite una breve ed erta scalinata, chiusa da cancelli. L’interno è in stile ionico con 12 colonne che, oltre a sostenere la navata principale, creano anche due piccole navate laterali. Il tempio si avvale inoltre di un vasto locale sotterraneo, adibito prima a terrasanta, successivamente a cappella per l’uso dell’oratorio di S. Giovanni Bosco, e attualmente riadibita nuovamente a Terra Santa.

La Confraternita venne riconosciuta da Ferdinando IV con decreto del 27 luglio 1793. Le regole furono approvate dal Vescovo Crispo Doria con una bolla del successivo 19 agosto. Il Regio assenso era però subordinato ad alcune condizioni, tra cui quella di non allestire processioni senza “ le debite licenze”. Nel corso dei moti rivoluzionari che nel 1799 portarono alla creazione della Repubblica napoletana, queste regole vennero ignorate, dando in questo modo luogo a non poche tensioni . La confraternita,  che si fregiava del titolo di Real confraternita dei Bianchi del SS. Crocifisso e l’Anime del Purgatorio, prese infatti parte sia “ processione della Croce”, con cui i borbonici avevano provveduto a sostituire con il simbolo di Cristo gli alberi della libertà, che i francesi avevano fatto piantare in diversi luoghi della città, sia alla processione di S. Catello che a quella della SS. Vergine,  “la quale per sua intercessione – riferiva il Priore del tempo- ci ha liberato da una tirannica schiavitù (quella francese), e ci ha preservato la vita… Ciò facendo      - continuava il Priore – saremo sempre obligati di accettare ogni altro invito” , contravvenendo in questo modo alle “regole dateci dal Nostro  Clementissimo  Sovrano”. 
Vale ricordare che alla confraternita risultavano iscritti, tra gli altri, anche il capitano Antonio Buonocunto, che era stato pilota agli ordini dell’Ammiraglio Francesco Caracciolo che, nella citata rivoluzione, aveva avuto il merito di salvare Castellammare dal saccheggio delle armate francesi, il comandante militare del Cantiere Navale Col. Sanchez, e l’ancora misterioso Catello Filosa, meglio noto alla storia locale come il Gran Mogol.

Ricerca storica a cura  del Prof. Catello Vanacore.

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